Meeting e gender: libertà o opportunità politica?

IMG_20150823_180217di Emiliano Fumaneri

Difficile ricreare a parole un clima intimo come la sensazione di disagio che circolava ieri sera nei pressi dello stand dei padri domenicani.

Ero lì, assieme a mia moglie e ad alcuni amici, per assistere alla presentazione di un libro di padre Giorgio Maria Carbone sul gender.
Sapevamo che assieme al domenicano avrebbero relazionato anche Raffaella Frullone e Benedetta Frigerio. Raggiungiamo il luogo dell’incontro poco prima dell’orario indicato sui manifesti. Incrociamo Raffaella, che ci mette al corrente della solita polemica scandalistica montata da Rep ai danni di padre Carbone: straw man cucinato e servito col consueto metodo del cut & paste. Antica specialità della casa giornalistica, nulla di nuovo (basta consultare il puntuale resoconto della NBQ). Ma nessuno di noi poteva immaginare che quell’atto di violenza verbale ci avrebbe toccati così da vicino. Raffaella ci saluta e si avvia verso lo stand, serena e determinata come sempre. Anche io sono sereno: siamo al Meeting, siamo a casa, tra amici. Che può succederci di male? Ci congediamo da Raffaella e cerchiamo di prendere posto. Con la coda dell’occhio mi accorgo del viso teso di Benedetta Frigerio. Sta parlando con foga, è molto agitata. Gli occhi sono lucidi. Al momento non do troppo peso alla cosa. Pochi minuti dopo capisco. La direzione del Meeting ha annullato l’incontro. Motivi di opportunità.

La Chiesa, in altri tempi e in altre circostanze, aveva affidato ai figli di san Domenico le dispute dottrinali più insidiose. Oggi, in un tempo di inversione di tutti i valori, c’è gran voglia di ritirare questa investitura. Ci si vergogna della loro inopportuna predicazione.           IMG_20150824_122449

Cala il gelo, alcuni – io per primo – impiegano diverso tempo per elaborare l’accaduto. Sguardi increduli delle relatrici. Prende stanza una sensazione di fantascientifico, di surreale, una via di mezzo tra un racconto di Philip K. Dick e un romanzo di Kafka.

C’è in lingua tedesca qualcosa che in una certa maniera può aiutare ad esprimere questo inesprimibile disagio. Si tratta della sensazione associata all’espressione das Unheimliche, il «perturbante». Perturbare equivale a generare angoscia, è uno sconvolgimento interiore collegato a quel che ci è noto da lungo tempo, una alterazione che si accompagna a ciò che ci è famigliare.

Già heimlich è termine ambivalente, possiede molteplici sfumature. Non a caso aveva attirato l’attenzione di Freud. Heimlich evoca un orizzonte confortevole (la radice, heim, indica la casa, il luogo delle relazioni più intime) ma al tempo stesso qualcosa di nascosto, di celato, di furtivo e segreto. Il suo secondo significato finisce così per coincidere col suo contrario, cioè unheimlich: il perturbante, il disagevole, ciò che suscita trepidante orrore.

Siamo esposti a un effetto perturbante quando si fa labile il confine tra fantasia e realtà, quando appare realmente ai nostri occhi qualcosa che fino ad allora avevamo reputato fantastico. Ciò che reputavamo familiare manifesta una (fino ad allora) nascosta carica di ostilità, facendoci sapere che lì, proprio lì, non siamo più graditi: la nostra presenza ingombra, è motivo di vergogna. Una presenza che fa arrossire, da nascondere, da rendere furtiva. Da rendere heimlich, appunto.

In un articolo sulla libertà di stampa, George Orwell racconta le difficoltà a trovare un editore disposto a pubblicare La fattoria degli animali. Inizialmente un unico editore aveva accettato il libro, salvo poi tirarsi indietro dopo aver consultato il ministero dell’Informazione, che gli aveva sconsigliato energicamente di pubblicarlo. Questo è uno stralcio della lettera grottesca scritta a Orwell dall’editore per comunicargli il rifiuto del libro: «Ho già detto della reazione di un importante funzionario del ministero dell’Informazione a proposito de La fattoria degli animali. Debbo confessare che i termini in cui tale opinione era espressa mi hanno dato seriamente da pensare. […] adesso mi rendo conto che la pubblicazione del libro in un momento come questo potrebbe essere considerato un gesto oltremodo incauto. Se la favola si riferisse ai dittatori e alla dittatura in generale sarebbe un bene pubblicarla; ora però ho capito che la storia segue lo sviluppo dei Soviet e dei due dittatori russi in modo tanto accurato da risultare applicabile soltanto alla Russia, escludendo le altre dittature. E poi sarebbe meno offensivo se la casta dominante non fosse quella dei maiali. Credo che la scelta dei maiali come classe dirigente offenderà senz’altro molte persone, in particolare quelle un po’ suscettibili, e i russi indubbiamente lo sono».go-bbc-624x460     

Episodi come questo, commenta amaramente Orwell, non sono un buon sintomo. In democrazia il maggior pericolo per la libertà di pensiero e di parola, dice lo scrittore britannico, sta nella paura dell’opinione pubblica. Escludere determinati argomenti dalle pubblicazioni, negando loro il diritto di parola, è una forma di vigliaccheria intellettuale: il peggior nemico per uno scrittore o un giornalista.

Orwell vedeva in questo atteggiamento pavido una incursione della mentalità totalitaria in seno alla democrazia. Circolava allora (solo allora?) una diffusa tendenza a sostenere che si potesse difendere la democrazia con metodi totalitari. Il ragionamento è questo: se amiamo la democrazia dobbiamo schiacciare i suoi nemici con ogni mezzo. E quali sono i nemici della democrazia? Non sono tanto quelli che la attaccano in maniera aperta e diretta, quanto coloro che la mettono «oggettivamente» a rischio diffondendo idee e dottrine sbagliate. In una parola, la difesa della democrazia e della pace sociale passa attraverso la distruzione di qualunque indipendenza di pensiero. È così che molti hanno accettato, per convinzione o paura, il principio «secondo cui un libro deve essere pubblicato o soppresso, esaltato o stroncato, non in base ai suoi meriti, ma a seconda dell’opportunità politica».

Orwell-Fattoria-degli-animali-Animal-farmNon si annuncia nulla di buono per la democrazia quando il desiderio di mantenere buoni rapporti – soprattutto con le persone troppo “suscettibili” – spinge a cancellare la libertà intellettuale. Ma ancor peggio è forse spingere a provare vergogna per aver voluto dire ciò che si ritiene vero, buono e giusto.

 

16 commenti

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16 risposte a “Meeting e gender: libertà o opportunità politica?

  1. Massimo

    C’ero anche io ieri sera proprio perché con padre Giorgio e la Benedetta cercsvo nomi di qualcuno da invitare nella nostra zona a parlare sull argomento.ero basito, ma mi hanno comosso i tanti ragazzi che cercavano di riorganizzare l’incontro in un altro posto, anche fuori dal meeting… Alcuni erano venuti appositamente da Milano e fin da Trento. Forse che dobbiamo cominciare a riaprire le catacombe???

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    • Caro Massimo, ho seguito anche io quei ragazzi nel loro commovente tentativo di riparare allo sfregio a cui avevano appena assistito. Un grande segno di speranza.

      Da sempre amo alla follia don Giussani, che reputo un gigante di dottrina e santità. Amo il Meeting al punto di esserci andato ogni volta che se n’è presentata l’occasione. Ci sono andato perché lì ho sempre respirato a pieni polmoni la sensazione di essere un uomo libero che si muove in mezzo a un popolo libero. Ciò che ultimamente mi ha portato al meeting è il clima di estrema libertà che rende possibile l’incontro di realtà diversificate in tutti i campi della realtà sociale, economica, politica, culturale, teologica, ecc.
      La verità nella relazione con l’altro concreto, in carne e ossa. Dove si ama la verità, dove ci si espone per la verità praticando il logos anche il Logos con la maiuscola non è lontano. Una simile apertura permette di dialogare – in senso pieno e alto – con tutto e tutti, anche con chi idealmente è distante mille chilometri. È questo senso di libertà a risultare incomprensibile ai tanti “cristiani ideologici”, siano essi “tradizionalisti” o “progressisti”, gli stessi che applicano il loro zelo amaro spargendo a piene mani rispettivamente accuse di “modernismo” o di “integralismo” a Comunione e Liberazione.

      Ecco, domenica sera per la prima volta al Meeting ho sentito presente e operante uno spirito che non vuole la libertà né ama il Logos.

      Necessaria premessa: uno dei segni del passaggio da una società non cristiana a una società cristiana sta in questo: la prima è una “civiltà della vergogna” mentre la seconda è una “civiltà della colpa”. Il bene supremo per una civiltà della vergogna sta nel possesso della pubblica stima, sta nella reputazione, nella fama, nella considerazione sociale: l’uomo non è che una cellula del grande organismo sociale, appartiene a una sostanza collettiva. L’uomo qui non può vivere senza pubblico attestato. Solo la società conta, la persona è tendenzialmente nulla.

      In una “civiltà della colpa” il primato sta invece nella coscienza, l’uomo diventa una persona morale, partecipa in qualche modo all’attività creativa di Dio, la sua grandezza sta nel fare il bene e evitare il male, anche se questo dovesse porlo in contrasto con le esigenze del “grande animale” sociale. Val meglio perdere la fama che agire in maniera malvagia, questa è l’ingiunzione di una coscienza cristiana.

      Domenica sera mi ha colpito proprio questo fatto: che oltre allo sbigottimento regnasse cioè anche un senso di profonda vergogna. Istillare una sensazione di vergogna è il primo tentativo col quale l’idolo societario cerca di schiacciare la coscienza di un popolo. La ferita interiore della vergogna è lo strumento con cui il “Grande animale” sociale sociale cerca di schiacciare e asservire a sé la coscienza dell’uomo libero. Sempre Orwell, che vale la pena leggere e rileggere, scrive che “il risultato della predicazione di dottrine totalitarie è un indebolimento di quell’istinto in virtù del quale un popolo libero distingue ciò che è pericoloso da ciò che non lo è”. In una parola, distruggere la coscienza, quell’organo del senso morale che ci permette di distinguere intuitivamente il bene dal male.

      Come ripeto amo alla follia don Giussani, sempre perché nel suo pensiero si respira quell’armonia tra ordine e libertà, quel primato della coscienza di cui da sempre sono alla ricerca. Giussani, nella sua intervista con Robi Ronza su Comunione e Liberazione, dice chiaramente che CL è solo accidentalmente un movimento con una sua struttura organizzativa. CL è prima di tutto uno stile di presenza cristiana, un tentativo di richiamare all’essenziale, di tornare all’Origine, a Cristo, alla Fonte da cui tutto trae linfa. Giussani vuole rinnovare le Chiesa («Non è CL che ci sta a cuore, ma la Chiesa»; «Comunione e Liberazione vorrebbe offrire alla Chiesa un’esperienza di ricupero e di sviluppo della fede nei suoi aspetti elementari ed essenziali»; «In tale prospettiva [di rinnovamento ecclesiale], insisto che il nostro ideale sarebbe quello di scomparire come nome e come organizzazione, purché realmente tutta la chiarezza e la vivacità di certi richiami che noi sentiamo, di certe evidenze che noi abbiamo, di certo metodo applicativo fossero divenuti ovvi nella condizione della vita ecclesiastica»).
      Ogni forma organizzativa è funzionale a questo ideale: rimettere in tensione un organismo avvizzito, ridargli una nuova giovinezza, un nuovo slancio. E dove c’è slancio c’è coraggio, c’è l’accettazione del rischio insito in ogni impresa, c’è la consapevolezza di poter essere feriti, anche in maniera irreparabile. La paura c’è sempre, ma come insegna Chesterton, coraggioso non è chi non ha paura. Coraggioso è chi sa vincere la paura. E il cristianesimo è l’unica religione che «ha aggiunto il coraggio alle virtù del Creatore».

      Domenica ho visto trionfare la paura e la vergogna, non il coraggio, la coscienza e la libertà. E ho sentito di doverlo dire per l’amore che porto per don Giussani, non per zelo amaro o per esercitare una critica distruttiva (fatta da chi, ripeto, anche se si presenta come cattolico non ama né la libertà né l’ordine divino).

      (E.F.)

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  2. Riccardo Sabatino

    Per quanto mi possa dispiacere la cosa, considerò il fatto sintomatico di come la Chiesa sia divisa in questo preciso momento sulla problematica in questione (gender). Inoltre è ben possibile che nessuna delle due posizioni in questione sia proprio esente da critiche. Il padre summenzionato, è un esponente tipico di un ordine religioso, che pur avendo la mente giusta alle spalle (Il grande S.Tommaso d’Aquino) in realtà al contrario del loro fondatore e dei grandi predicatori medievali, ha rinunciato del tutto al confronto con la piazza e con le categorie moderne, vivono chiusi a coltivare il loro orticello, e predicano solo e solamente per una ristretta schiera di nostalgici, spesso anziani, che applaudono volentieri alle loro argute elucubrazioni. Dall’altra parte abbiamo un’altra frangia della Chiesa che ricerca ad ogni costo il compromesso politico e il dialogo anche con chi non è disposto a ricevere nulla se non in regalo, e considera ogni tentativo di avvicinamento come un’ammissione implicita di sconfitta. Il meeting di Rimini diceva qualcuno che assomiglia sempre più ad una festa qualsiasi dell’unità, tanto si è mascherato, fino a rendersi irriconoscibile. È logico che queste due posizioni entrino inevitabilmente in rotta di collisione perché entrambe a mio parere anacronistiche.

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  3. Sandro Di Marco

    Quello che scrivete qui sarebbe giusto, legittimo, vero, se non fosse che padre Carboner sosteneva una teoria più volte smentita e con coglizione di causa, da altri studi, fatti proprio in Danimarca.
    Lo studio del 2009 di Paul e Kirk Cameron, cui fa riferimento Padre Carbone, (questo http://www.christianpost.com/news/new-study-finds-early-death-in-gay-marriages-26558/ ) era già stato smentito, infatti, sempre nel 2009, da un altro studio di Morten Frisch e Jacob Simonsen (questo http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2636618/) che dichiarava “Nonostante la recente, significativa, diminuzione della mortalità tra gli uomini gay , gli uomini e le donne danesi in matrimoni omosessuali hanno ancora tassi di mortalità SUPERIORI a quelle della POPOLAZIONE GENERALE . Le mortalità sono infatti limitate ai primi anni dopo il matrimonio , presumibilmente riflettendo una preesistente malattia al momento del matrimonio. Anche se ulteriori studi sono necessari , le pretese di drastico aumento della mortalità generale negli uomini e lesbiche non risultano giustificate”.
    Frish e Simonse, aggiungevano che “Lo studio di Cameron e Cameron sulla “aspettative di vita ” degli omosessuali in rapporto agli eterosessuali è gravemente metodologicamente viziata. Non c’è da stupirsi perché questo rapporto pseudo-scientifico, sostenendo una aspettativa di vita drasticamente più breve presso gli omosessuali rispetto agli eterosessuali, è stato pubblicato su internet senza precedente peer review scientifica ( http://www.earnedmedia.org/frireport.htm ) . Gli autori dovrebbero conoscere , e come dottorati di ricerca presumibilmente ne saranno a conoscenza) che il loro metodo ha poco a che fare con la scienza . E ‘ difficile sfuggire all’idea che dei motivi non scientifici abbiano spinto gli autori a rendere questo rapporto pubblico . I difetti metodologici sono di natura così grave che nessuna decente rivista scientifica che usa la peer review lo avrebbe fatto pubblicare’

    I risultati dello studio condotto nel 2013 (quello citato da Padre Carbone) confermano quelli del 2009 e mostrano che, anche in virtù dell’istituto del matrimonio omosessuale e delle nuove terapie anti retrovirali (HAART), i gay danesi sposati oggi vivono più a lungo:
    “abbiamo osservato una drastica riduzione, da 9,63 morti in eccesso per 1000 anni-persona tra coloro che ha sposato il loro partner nel periodo pre – HAART a 1.53 morti in eccesso per 1000 anni-persona per coloro che si erano sposati nel periodo HAART”
    Insomma, il matrimonio avrebbe dei benefici anche per gli omosessuali e non solo per gli eterosessuali.
    Frish e Simonse aggiungono “Il nostro studio fornisce un resoconto dettagliato sulle condizioni di convivenza e sulla loro con i tassi di mortalità più di tre decenni, e, con analisi accurate e statisticamente solide sulla salute pubblica nei paesi con matrimoni e convivenze omosessuali comparabili con la Danimarca. Occorre segnalare che la mortalità tra persone sposate dello stesso ha incominciato a diminuire sensibilmente a partire dalla metà degli anni 90 ed è oggi pari o inferiore a quella degli uomini etero sposati divorziati e vedovi , mentre le donne dello stesso sesso sposate emergono come il gruppo di donne con la maggiore longevità”.
    Davvero volete paragonare questo a ciò che avvenne a Orwell con “La Fattoria degli Animali” ???? Grazie.

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    • Caro Sandro, il libro che avrebbe voluto presentare padre Carbone non parlava solo di questo. Ti sfugge che un conto è contestare un dato statistico e una argomentazione, un altro è impedire di presentare le proprie argomentazioni, giuste o sbagliate, corretto o scorrette che siano. Perché questo è quello che è successo. Si chiama censura.

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    • Luca Calzolari

      Caro Sandro,
      oltre a quanto scritto da Andreas (con il quale sono totalmente d’accordo) le devo segnalare che proprio nella pubblicazione di cui parla lei (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23482379) e alla quale fa riferimento Padre Carbone durante la conferenza viene detto tutt’altro rispetto a quello che afferma lei: in dettaglio dallo studio risulta che contrariamente a quanto lei afferma la mortalità per coppie di donne sposate è nettamente più alta rispetto alla media di coppie eterosessuali (“Mortality was particularly high for same-sex married women (HR = 1.89), notably from suicide (HR = 6.40) and cancer (HR = 1.62)…”), quindi o si è affidato a fonti sbagliate o si è sbagliato a tradurre lei l’articolo.
      Inoltre a mio avviso è inutile fare notare come la mortalità di coppie di uomini sposati sia similare a quella di etero sposati, divorziati o non sposati: due di queste categorie (divorziati e vedovi) sono particolarmente a rischio secondo me per quanto riguarda ad esempio fenomeni di depressione, quindi non è proprio rappresentativo prenderli a paragone.

      In definitiva, a mio avviso e per quanto ho esposto lo studio non smentisce affatto quanto detto da Padre Carbone ma invece va contro proprio a quanto detto da lei.

      Cordiali Saluti.

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  4. Daniela Pegoraro

    Mi rendo conto, che siamo sempre più in una situazione molto difficile, in silenzio, ma nello stesso tempo velocemente, ci stanno togliendo tutta la nostra libertà, e non solo! Dove arriveremo? Per poche persone che vogliono cambiare la Creazione, noi dovremo cambiare la nostra Libertà, pagata a caro prezzo dai nostri nonn,i che hanno combattuto in guerra dando anche la loro vita. Daniela

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  5. Mi permetto un commento sull’incontro in cui Padre Carbone ha invece avuto modo di parlare al Meeting. Durante il suop discorso ha citato una pubblicazione danese circa la mortalita’ di uomini e donne e di come questa dipenda dalla sessualita’. E Padre Carbone afferma che lo studio ha dimostrato la maggior mortalita’ in coppie omosessuali, sia per suicidi che per malattie cardiache.
    Allora da buon scienziato sono andato alla fonte e ho letto l’articolo che lui ha citato. Dall’abstract dello studio citato da Padre Carbone: “…rates for same-sex married men (HR = 1.38) were equal to or lower than those for unmarried, divorced and widowed men. […] Of note, mortality among same-sex married men has declined markedly since the mid-1990s and is now at or below that of unmarried, divorced and widowed men”.
    Cioe’ l’esatto opposto di quello che Padre Carbone ha detto. Mi domando: perche’ alterare i dati di uno studio scientifico per rafforzare la tua teoria, quando lo studio dice l’opposto di quello che stai dimostrando? A me sembra slealta’ verso l’ascoltatore, che si assume sia ignorante e creda a qualunque cosa senta, senza verificarla poi.
    Se queste sono le premesse, credo che il Meeting abbia fatto bene a cancellare il secondo incontro. Non per codardia, ma per amore al dato e al vero.

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    • Un altro commento off topic e scorretto sotto il profilo argomentativo, al quale ho già risposto. Lei sarà anche un scienziato, ma ignora la teoria dell’argomentazione. Questa è la classica fallacia della «falsa pista» o della «cortina di fumo». La «falsa pista» fa parte di quella famiglia di inferenze con le quali si effettua una diversione dal tema principale. Si serve di questa fallacia logica chi presenta un argomento irrilevante allo scopo di noyer le poisson, cioè per fuorviare l’attenzione dal problema originale. Questo argomento produce depistaggio.
      In questo post non si parla di questo argomento e di questo dato statistico, isolati e estratti dal quotidiano Repubblica all’interno di un discorso più ampio al chiaro scopo di montare un caso e avviare la solita “macchina del fango”. Si parla di un caso di censura. E che si dica che “il Meeting ha fatto bene a cancellare il secondo incontro” è un altro preoccupante sintomo di mentalità totalitaria. Un argomento scorretto o un dato statistico sbagliato può e deve essere contestato, può e deve diventare argomento di pubblica discussione. Che debba essere censurato capita solo negli stati autoritari.
      Se le cose stessero come dice questo signor thefoodjourneyblog, per impedire la presentazione o la pubblicazione di un libro basterebbe trovare un dato statistico discutibile o una argomentazione capziosa. Se così fosse, i libri di Odifreddi sul cristianesimo – pieni di ipotesi screditate e infondate – e perfino questi commenti fallaci non avrebbero diritto di vedere la luce.
      Come ribadisco, la seconda presentazione non verteva solo su quel singolo dato statistico. Si presentava il libro di padre Carbone sul gender, che ha anche altri contenuti e altri argomenti. Argomenti e contenuti magari discutibilissimi, ma che devono poter essere discussi. A meno che su certi argomenti qualcuno abbia deciso che non si debba discutere. Questi commenti che difendono la censura – nel 2015! – fanno davvero paura.

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      • Luca Calzolari

        Caro “thefoodjourneyblog”,
        oltre a quanto ho scritto in risposta al signor Sandro Di Marco nel commento di cui sopra, le vorrei fare notare che le conclusioni che lei vorrebbe trarre dallo studio in questione (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23482379) per i seguenti motivi:
        1. Fatto “1” il valore di riferimento di mortalità delle coppie eterosessuali sposate, dire che per le coppie di maschi sposati la mortalità sia “1,38” significa esattamente che per queste coppie la mortalità sia superiore (quasi una volta e mezzo! Ma le coppie omosessuali non dovrebbero essere uguali a quelle eterosessuali???) rispetto alle coppie eterosessuali: paragonarle poi a categorie che possono presentare rischi maggiori (come ho scritto sopra) a mio avviso è solo un modo per “fare tornare i conti a proprio vantaggio”, mentre l’unico confronto indicativo potrebbe essere quello rispetto alle coppie eterossessuali.
        2. Anche lei ha omesso il dato relativo alle coppie di donne sposate, dove la mortalità è ancora più elevata, tra l’altro proprio per i motivi indicati da Padre Carbone.

        A mio avviso Padre Carbone ha utilizzati i risultati di uno studio abbastanza ideologizzato (basta leggere i commenti degli autori) verso l’ideologia LGBT e ne ha comunque estrapolato dei dati allarmanti che dovrebbero fare pensare le persone, anche se contrarie alla religione Cattolica e favorevoli al “matrimonio” omosessuale.
        Aggiungo poi che se non sbaglio, il secondo incontro di Padre Carbone si è tenuto regolarmente, nonostante la pessima (a mio avviso) figura del Meeting che non ha difeso a dovere il frate domenicano da attacchi insensati come quello de “La Repubblica”.

        Cordiali saluti.

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      • Questi personaggi che fcitano dati a caso per avvallare la loro ipotesi credendo che il pubblico sia fatto da pecore ignoranti, su un tema cosi’ scottante – nel 2015! mi fa davvero piu’ paura.
        Quando preparo un intervento in pubblico il minimo che posso fare e’ verificare le fonti che cito, argomentare quello che voglio esporre in modo chiaro e senza usare artifici statistici per rafforzare una posizione di fede che potrei avere.
        Mi spiace, ma padre Carbone si e’ dato la zappa sui piedi. Non mi interessa quello che ha da dire, se, in 15 min concessigli al primo incontro, 5 li usa parlando (e riparlando, ho sentito tutto l’incontro) di quel dato statistico.
        La prossima volta si prepari meglio. Saro’ lieto di stare a sentire un’argomentazione leale e preparata, qualunque posizione essa difenda.

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      • Caro “thefoodjourneyblog”, capisco che non avendo argomenti solidi ci si debba arrampicare sugli specchi. Detto questo, la realtà, dura e cruda, è che l’unico qui ad aver distorto i dati dello studio di Frisch-Jacobsen sei stato tu.

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  6. LUCA

    CONCEDIMI QUESTE DUE RIGHE, sul caso dei Domenicani: E’ sotto gli occhi di tutti, il meeting ha censurato … domando quindi, umilmente, che ne sarà del meeting da oggi in poi? chi potrà impedire (visto il precedente) che domani riaccada la stessa cosa per qualsiasi altro tema sol perchè disturba le coscienze di qualcuno o perché disturba il dialogo oppure perché alza un muro contro muro e non aiuta al confronto?! – I Domenicani, rispondendo al tema della “mancanza” avevano giustamente proposto dei dibattiti sul tema “gender/matrimonio” [tema che x altro, riveste un’assoluta centralità nel dibattito contemporaneo]. Di questa vicenda ho capito che, siccome non andavano bene a R.it, sono stati tagliati. Questo è confermato dal fatto che non ho saputo, non visto, non ho sentito di alcun incontro sui temi Gender – matrimoni – adozioni gay – durante tutto il meeting! Domando allora, ma dov’è il meeting che ho sempre apprezzato per la sua libertà di giudizio, per il suo respiro, per il suo sguardo che ci conduceva oltre l’orizzonte conoscituo ed oltre il pensiero UNICO? AAA – CERSASI DISPERATAMENTE MEETING LIBERO

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  7. Melo

    Purtroppo questo gruppo tanto amato da Don Giusani ha perso la sua libertà e si è piegato alle lobby……………….insomma censura SE STESSO…….. e chi li segue…………..brutto dirlo ma oggi più che mai sono molto politicizzati i CL………..e mi duole ma è cosi e soprattutto da chi sono GOVERNATI??…………………….BRUTTA STORIA, GESU’ E’ FUORI LE MURA DI QUESTO GRUPPO PURTROPPO.

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  8. Allora, vediamo un po’ di smentire anche la disinformazione di questi due commentatori che difendono la censura in nome della “scienza” e della “verità”.

    Stefano Di Marco dice delle cose oggettivamente false. Padre Carbone non fa alcun riferimento allo studio del 2009 di Paul e Kirk Cameron. Questa fola è quasi sicuramente un copia-incolla piuttosto sgahgherato ripreso da un articolo che fa della disinformazione pura e semplice, cioè presumibilmente questo: http://www.nextquotidiano.it/il-domenicano-che-dice-che-i-gay-vivono-meno/

    Nel video montato “ad arte” da Rep – http://video.repubblica.it/vaticano/meeting-rimini-le-coppie-omosessuali-piu-esposte-a-malattie-cardiovascolari-e-suicidio/209902/209025 – padre Carbone rimanda al suo testo per i riferimenti agli studi statistici sulla popolazione danese. Quindi basta consultare il suo testo per averli. E cosa cita padre Carbone? Guarda un po’ lo studio di Morten Frisch e Jacob Simonsen del 2013 (nota 39 a p. 68, a p. 69 riporta la tabella n. 4 del loro studio, riportata di nuovo parziamente a p. 92), quello che secondo Di Marco smentisce i Cameron & Cameron (che padre Carbone non ha mai menzionato).

    Quindi il gentile commentatore discetta su un libro che non ha letto, fidandosi ciecamente di un blog che ha scovato in rete. Un po’ come chi esibisce cognizioni che non possiede ricopiando parti di wikipedia.

    Padre Carbone, nella conferenza di sabato 22 agosto (“Gender e diritti civli?”), afferma che dall’indagine statistica di Frisch-Jacobsen si evince che nella popolazione danese deceduta tra il 1981 e il 2010 le coppie eterosessuali sono esposte a minori rischi rispetto a una serie di fattori di mortalità (malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, suicidio, tentato suicidio e Aids) in misura molto minore delle coppie dello stesso sesso conviventi o sposati.
    Bene, basta confrontare questa affermazione del padre domenicano con lo studio di Frisch-Jacobsen per scoprire se è vera o meno, cioè se la parola pronunciata dal religioso corrisponde a un fatto reale. Lo studio è in rete. Si tratta di Marriage, cohabitation and mortality in Denmark: national cohort study of 6.5 million persons followed for up to three decades (1982–2011), «International Journal of Epidemiology» (2013).

    http://ije.oxfordjournals.org/content/early/2013/03/08/ije.dyt024.full

    http://2d-d.blogautore.repubblica.it/files/2013/03/Int.-J.-Epidemiol.-2013-Frisch-ije_dyt024.pdf (in pdf)

    L’articolo comincia ricordando altre indagini, dalle quali emerge che «è noto da tempo che la mortalità è superiore presso le persone non sposate, divorziate o vedove» («It has long been known that mortality is higher in unmarried, divorced and widowed than married people»). Quindi il matrimonio, secondo una tradizione sociologica che risale almeno fino agli studi sul siucidio di Émile Durkheim, va considerato un fattore di protezione dall’anomia e ha un effetto benefico anche sulla salute fisica dei contraenti.

    I risultati dello studio di Frisch-Jacobsen confermano questo quadro. Cito le conclusioni dello studio: «HRs for overall mortality changed markedly over time, most notably for persons in same-sex marriage. In 2000–2011, opposite-sex married persons (reference, HR¼1) had consistently lower mortality than persons in other marital status categories in women (HRs 1.37–1.89) and men (HRs 1.37–1.66). Mortality was particularly high for same-sex married women (HR¼1.89), notably from suicide (HR¼6.40) and cancer (HR¼1.62), whereas rates for same-sex married men (HR¼1.38) were equal to or lower than those for unmarried, divorced and widowed men. Prior marriages (whether opposite-sex or same-sex) were associated with increased mortality in both women and men […]».

    Cioè: «I tassi di rischio [HRs, hazard ratios; NdC] della mortalità complessiva sono significativamente mutati nel corso del tempo, in particolare per le persone unite in matrimoni dello stesso sesso. Nel periodo 2000-2011, le persone unite in matrimonio eterosessuale HR¼1) hanno avuto una mortalità notevolmente inferiore in confronto alle persone inserite nelle altre categorie di stato civile sia nel caso delle donne (HRs 1.37–1.89) che degli uomini (HRs 1.37–1.66), mentre i tassi degli uomini uniti in matrimoni omosessuali (HR¼1.38) sono stati uguali o inferiori in confronto a quelli degli uomini non sposati, divorziati e vedovi. I precedenti matrimoni (sia etero che omo) erano associato a un aumento della mortalità sia per le donne che per gli uomini […]».

    A pagina 4 di Frisch-Jacobsen si legge: «Being opposite-sex married (reference, HR¼1) was associated with consistently lower mortality than all other marital status categories»; «Persons in opposite-sex cohabitation (reference, HR¼1) consistently had the lowest mortality». E questo vale per ogni fascia di età («At all ages the reference category of opposite-sex cohabiters had lowest mortality»).

    Per contro si dice che nel decennio successivo all’introduzione del matrimonio omosex (1989) la mortalità è stata particolarmente elevata per le categorie di persone unite in matrimoni dello stesso sesso. Dal 2000, per le lesbiche la mortalità è rimasta la più alta rispetto a tutte le altre categorie di status civile, con una tendenza alla crescita negli ultimi anni. Fanno eccezione le coppie di uomini sposati con matrimonio omosessuale, che hanno raggiunto un livello più basso rispetto a quello degli uomini non sposati e divorziati e simile a quello dei vedovi, con un HR intorno a 1.4 nel 2001 («Mortality was markedly elevated among persons in same-sex marriage in the first decade after its introduction in 1989. Since the year 2000, mortality among same-sex married women has remained higher than in all other marital status categories, with a tendency towards increasing HRs in recent years. In contrast, mortality among same-sex married men has reached a level below that of unmarried and divorced men and similar to that of widowed men (HR around 1.4 in 2011)».

    Ma, attenzione, le coppie omo, di uomini o donne che siano, hanno comunque tassi di mortalità più alti rispetto a quelle etero (che hanno in assoluto la mortalità più bassa, tanto che funge da valore di riferimento per le altre categorie). Quindi è vera solo a metà l’affermazione di Di Marco, secondo il quale «il matrimonio avrebbe dei benefici anche per gli omosessuali e non solo per gli eterosessuali», ed è vera a metà perché il gruppo delle lesbiche ha il pù alto HR.

    Mentre è assolutamente vero quello che dice padre Carbone, cioè che le coppie opposite-sex hanno tassi di mortalità notevolmente inferiori rispetto a quelle same-sex. È totalmente falso invece dire, come fa sempre Di Marco, che «le donne dello stesso sesso sposate emergono come il gruppo di donne con la maggiore longevità». I dati della ricerca di Frisch-Jacobsen dicono esattamente il contrario.

    Non serve che consultare le tabelle e i grafici. In particolare la tabella 4 (cause-specific mortality), la stessa riportata esattamente da padre Carbone nel suo libro (p. 69 e, in forma sintetica, a p. 92). Da questa tabella si evince che le unioni etero (opposite sex), sia per gli uomini che per le donne, sia nel caso dei matrimoni che delle convivenze, sono esposte a tassi di rischio inferiori per una serie di cause di mortalità (malattie cardiovascolari, cancro, malattie respiratorie, suicidio, AIDS, altre cause) a tutte le altre categorie (persone non sposate, divorziati/e, vedovi/e, sposati/e con persone dello stesso sesso).

    Spiccano alcuni dati: ad esempio il tasso di suicidio degli uomini sposati cion altri uomini è 4 volte superiore rispetto a quello degli uomini sposati con una donna (4,09 contro 1), ed è molto più alto rispetto a qualsiasi altra condizione (single, divorzio, vedovanza). Nelle donne sposate con altre donne il tasso di suicidio è di 6,4 volte superiore alle donne sposati con un uomo. Nel caso della mortalità da AIDS la frequenza aumenta di 356 volte (!) per i maschi impegnati in matrimoni omosessuali rispetto agli omologhi uniti in matrimoni etero.

    Padre Carbone riporta questi dati nel suo libro (p. 92), dove scrive che «all’interno delle diverse tipologie di stato civile (celibi/nubili, sposati, divorziati, vedovi) le convivenze omosessuali hanno dimostrato di essere associate ad un rischio di mortalità per tutte le cause statisticamente maggiore rispetto agli omologhi che convivevano con persone dell’altro sesso».

    È falso anche quanto scrive thefoodjourneyblog, che fa uso della fallacia dello “straw man” (uomo di paglia), la quale consiste nell’attribuire a una parte, durante una discussione, tesi e pensieri che non ha mai formulato.

    Thefoodjourneyblog sostiene infatti che «Padre Carbone afferma che lo studio ha dimostrato la maggior mortalita’ in coppie omosessuali, sia per suicidi che per malattie cardiache».
    Ma questo è falso, non corrisponde alla realtà: padre Carbone non ha semplicemente affermato che le coppie omosessuali in assoluto sono esposte in misura maggiore a una serie di fattori di mortalità. Ha affermato che sono esposte in maniera maggiore relativamente alle coppie eterosessuali sposate.

    E allora si evince con facilità come l’abstract di Frisch-Jacobsen citato da thefoodjourneyblog non smentisca in alcun modo l’affermazione di padre Carbone. «…rates for same-sex married men (HR = 1.38) were equal to or lower than those for unmarried, divorced and widowed men. […] Of note, mortality among same-sex married men has declined markedly since the mid-1990s and is now at or below that of unmarried, divorced and widowed men».

    Qui si dice infatti che i tassi di rischio (hazard ratio, abbreviato in HR) tra gli uomini sposati con matrimonio omo sono uguali o più bassi rispetto agli uomini non sposati, divorziati o vedovi. Inoltre l’abstract dice che è importante notare che la mortalità tra gli uomini congiunti in matrimonio omosessuale ha conosciuto un significativo declino a partire dalla metà degli anni ’90 e ora si trova a un livello uguale o inferiore rispetto a quello (ancora una volta) degli uomini non sposati, divorziati e vedovi.

    Dunque Frisch e Jacobsen non smentiscono quanto dice padre Carbone, che non si limita che a riportare le conclusioni del loro studio: le coppie omosessuali conviventi o sposati sono esposte a maggiormente a una serie di fattori di mortalità rispetto a quelle etero. Altro discorso se parliamo di non sposati, divorziati, vedovi. Ma padre Carbone non ha fatto raffronti tra coppie omo conviventi e sposate e non sposati, divorziati, vedovi, ecc. Né nel video pubblicato da Rep né nel libro.

    Quindi si vede chi sia sleale e chi stia alterando affermazioni e dati degli studi scientifici. “Stranamente”, lo scienziato thefoodjourneyblog omette anche di riportare la parte finale dell’abstract di Frisch-Jacobsen, dove si legge che «whereas same-sex married women emerge as the group of women with highest and, in recent years, even further increasing mortality». Vale a dire cioè che il discorso sui tassi di rischi uguali a inferiori delle coppie omo rispetto a non sposati, divorziati e vedovi vale solo per le coppie same-sex di uomini, non per quelle di donne, che invece risultano essere in assoluto il gruppo con la più alta mortalità, con un trend perfino in crescita negli anni più recenti.

    Questi sono i metodi (propagandistici) dei difensori della censura in nome della “scienza” e della “verità” («per amore al dato e al vero», dice il commento di thefoodjourneyblog; lascio a chi legge trarre le sue conclusioni). Insomma, questi signori isolano arbitrariamente alcune frasi e alcuni dati per avallare le proprie tesi, e lo stesso fanno con padre Carbone, al quale attribuiscono affermazioni e riferimenti inesistenti per poter giustificare la censura a suo danno. È un brutto tempo per la democrazia.

    A questo punto, se dovessimo essere coerenti con le loro tesi, dovremmo anche censurare ogni commento successivo di Stefano Di Marco e di thefoodjourneyblog, che con ogni evidenza non hanno letto né il libro di padre Carbone né lo studio di Frisch-Jacobsen.

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    • Anche l’Huffington post tiene alta la vecchia tradizione comunista della disinformatja e manipola lo studio di Frisch-Jacobsen per denigrare padre Carbone:

      «[…] a leggere le conclusioni dei ricercatori, pare che Carbone abbia omesso alcuni dettagli che capovolgono in parte quanto sostenuto al Meeting: “Da notare che la mortalità tra uomini sposati con uomini è decisamente diminuita a partire dalla metà degli anni ’90 e ora il tasso è uguale o minore di quello degli uomini non sposati, divorziati e vedovi, mentre le donne sposate con donne mostrano un sempre crescente tasso di mortalità”».

      http://www.huffingtonpost.it/2015/08/27/padre-carbone-teoria-gender-_n_8049216.html

      Chi omette qualcosa sono i propagandisti di tutti i tempi.

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