Brevi cronache dal Circo Massimo

Il Family Day non lo so giudicare tutto intero. C’è tutto un prima che non posso sapere integralmente, tutto un profondo che lo sostiene che riesco solo ad immaginare con grata sorpresa, tutto un largo orizzonte che lo accoglie. Tanta gente che non conosco che lo ha reso immenso. Un manipolo di valorosi che lo ha portato fuori dai “mi piacerebbe” e lo ha messo lì, sul palco della storia.

Ci sono stati operatori di tv, radio e social media che passavano tra la folla come innamorati alla stazione. Non vedevano nessuno fino a che i loro occhi non incrociavano quelli della persona più naif o del cartello più folkloristico nel raggio di centinaia di metri. O il giro vita meno sottile.  O il look più discutibile.
12662646_444089115781868_4069304489331192109_nCi sono stati i servizi ingiusti di chi presentava zone libere dal calpestio di piedi o scie di ruotine. (Perché era prima che aprissero ufficialmente i cancelli).  C’erano infatti diversi passeggini. Uno anche occupato dal nostro piccolo che la pagina Europei per la Manif ha preso come testimonial della necessità di un padre e una madre per ogni bambino. Ecco, approfitto di questa sede per dire che nel caso specifico quel bimbo ce li ha il padre e la madre. Un po’ stropicciati e masticati dalla vita, ma ci siamo!

Ci sono stati discorsi chiari e pacati. Qualcuno più carico di pathos, qualcuno più sobrio. Qualcuno che ha ricordato cosa cerca in fondo il cuore di tutti e opportune et importune ha gridato il nome di Gesù Cristo dai tetti; e ha comunicato – di nuovo – la notizia dei secoli, cioè che è risorto.

La piazza come “format” non rende facile trasmettere la compassione che tanti nutriamo per chi si illude di trovare sollievo nell’impostura che questa – e altre leggi – vuole offrire di Stato.

La reale, commossa comprensione delle ferite di tanti uomini e donne che soffrono sinceramente, nella loro carne, il dolore di non poter avere figli, questo tanti lo capiscono. Lo sentono direttamente nelle proprie membra.

La piazza non riesce (perché non è il suo scopo! Ma non lo rinnega, anzi!), ma tantissimi di quelli che erano in piazza e sul palco lo testimoniano in tante e non visibili occasioni. Perché la compassione è una faccenda che si sbriga in altra maniera. A distanza di un braccio, a portata di sguardo, con la voce che basta a dire “ti capisco, ti voglio bene, sento in me il tuo dolore. Tu sei più grande di tutto questo”.

È che la lotta di un popolo che si oppone agli arieti che vogliono abbattere i bastioni e le porte della sua città concentra le forze sulle pietre e i pilastri che vuole reggano. Punta i piedi per opporsi a una rovina. Ma lo fa perché è fatto di mansueti, pacifici cittadini. Siamo uomini che sono abituati a vivere insieme con gli altri, nel recinto di bellezza, seppur minacciata, di un ordine umano condiviso. Venuto su dai secoli. Ottenuto a prezzo di sangue, fatica, ingiustizie e caroselli di orrori.

Resistiamo e insistiamo. Ci servono mura, ci servono recinti, ci servono confini dentro e fuori di noi. Sono lo spazio preservato al caos dove possiamo di nuovo e ancora venirci incontro e provare ad abbracciarci.

Paola Belletti

3 commenti

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3 risposte a “Brevi cronache dal Circo Massimo

  1. L’ha ribloggato su paolabellettie ha commentato:
    Ospitate in una lussureggiante foresta di foglieverdi

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  2. Pingback: Brevi cronache dal Circo Massimo | paolabelletti

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